giovedì 28 Marzo 2024

Storia dei giochi – parte prima

Girovagando per la rete sono incappato in un articolo (per ora in 2 parti) molto interessante sulla storia dei giochi. La fonte Þ il blog Imago Romae e qui sotto trovate la prima parte.
Buona lettura!<<Chi si fosse trovato a visitare la prima mostra italiana dell’Iperrealismo tenutasi nella primavera del 2003 a Roma, presso la bellissima sede del Chiostro del Bramante, la cui classicitÓ rinascimentale non ha mostrato di stridere affatto con la super modernitÓ degli autori, per lo pi¨ americani e della fine degli anni sessanta del secolo scorso, nel segno di una coerenza che accomuna l’arte di ogni epoca – quando Þ vera arte – avrebbe potuto tra le altre trovarsi di fronte al dipinto “wheel of Fortune”, la ruota della fortuna di Audrey Flack.
Un’immagine smagliante, iper cromatica e densa di simbolismi diretti a meditare sul trascorrere della vicenda umana e sul Tempo.
Nel mezzo, leggermente piegata tra gli altri simboli, la carta dei tarocchi chiamata in lingua inglese con lo stesso nome del quadro.
I tarocchi sono una serie di carte da gioco illustrate, inventate nella prima metÓ del XV secolo.
Tuttora, trascorso oltre mezzo millennio non cessano di continuare ad essere non solo usati per giocare o per scrutare il futuro, ma di essere reinventati e ridipinti costituendo per ogni generazione di artisti una piccola ma costante fonte di ispirazione.
Mi propongo di spiegarne nelle righe seguenti alcuni aspetti della loro oscura e complessa vicenda.

Il gioco nel medioevo
Non si possono comprendere il gioco dei tarocchi se non ci si ferma un istante a riflettere su quello che era il gioco al momento storico in cui essi furono inventati. Si vedrÓ come le carte da gioco, introdotte in Europa verso il 1370, a giudicare dalle prime fonti documentali rimaste, trassero nomi e meccaniche di gioco dai precedenti giochi da tavolo medievali.
Nel 1366 quando Petrarca ultim? il suo De Remediis tra i numerosi dialoghi che fa intercorrere tra le personificazioni di Gaudio e Ratio, tre riguardano la vincita o la perdita al gioco d’azzardo . Il grande umanista menziona i dadi, le tavole o tric trac e gli scacchi.
Neppure gli scacchi, considerati negli ultimi secoli semplicemente uno dei pi¨ importanti prodotti dell’ingegno ludico umano, si salvano e vengono definiti fanciullesco studio, tempo perduto, pensieri vani, sciocchi ragionamenti e cosý via.
Se a questi passatempi aggiungessimo il domino e la dama, avremmo un quadro completo dei giochi tradizionali praticati nel medioevo.
Si trascurano qui i giochi praticati all’aperto quali, specialmente il gioco del pallone, i palii, i trionfi carnevalesche, i tornei, le giostre e persino la mora, le merelle, il lancio di ferri di cavallo le corse e ogni altro infinito tipo di svago elaborato da mente umana, cui le stesse accuse potevano essere tranquillamente essere trasferite.

Le accuse mosse dall’etica cristiana contro i giochi in generale e contro questi giochi in particolare erano sostanzialmente:
1. di essere una perdita di tempo, essendo il tempo bene prezioso che non va sprecato
2. di favorire la bestemmia e la rabbia e l’ira contro gli altri uomini e soprattutto contro Iddio
3. di suscitare amore verso le vanitÓ e gli oggetti belli e inutili
4. di condurre alla rovina i patrimoni e le famiglie, specie quelle importanti
5. di consentire lasciva promiscuitÓ di uomini e donne, con la scusa di innocenti svaghi
6. peggio ancora di consentire la vita di personaggi parassitari e molesti quali barattieri e bari
7. peggio di tutto, di consentire la scalata sociale di personaggi provenienti dalle pi¨ infime origini.

Perdita di tempo
Diceva un mio avo che IL MANCO CHE SI PERDE A GIUOCO E’ IL DENAIO , PERCHE’ VI SI PERDE IL TEMPO, LA PAZIENZA ED INSINO ALL’ANIMA. E soggiungeva: CHI GIUOCA E VINCE, VINCE L’INFERNO; E CHI PERDE, PERDE IL PARADISO.
Come si vede bene nei cosiddetti Libri di Ore , e nelle rappresentazioni dei lavori dei mesi nello scorrere dei segni zodiacali il tempo sembrava allora qualcosa di circolare, eternamente scandito dagli stessi schemi quasi rituali che si muovevano in un ingranaggio costante che usava a m? di perni e viti le domeniche, le feste comandate, le feste religiose, le stagioni, le costellazioni ed i pianeti.
La vita dell’uomo, pur presa da questa corrente inarrestabile e lenta, subiva tuttavia le alternanze della fortuna e un continuo memento mori pendeva sulla testa di tutti, condizionando ad un ansia di non perdere tempo, in vista dell’inevitabile.
Et non credare che coloro che stanno tutto æl dý otiosi e solamente vacano tutto æl dý a ritrovarsi in brigate e compagni a rridare e cianciare, e tuttodý parlare parole otiose e vane e disutigli, et tuttodý mormorando e detraendo e’ fatti altrui e tuttodý giocando a diversi giuochi abbominevogli, e tuttodý disonestando co’ fatti e co le parole in ogni malo modo, et andarsi spassando a uccellare e a ccacciare e mangiare e bere tuttodý come le bestie, e tuttodý facendo le cose pericolose e abbominevogli e le false vendite e gli inqui contratti, e facendo le merende e”conviti, e de’povari non curarsi niente: questi cotagli che fanno simigli cose e peggiori, come son coloro che danno e’ falsi consigli che molte volte mettono tutto æl paese arruina, non tanto che questi cotagli guardino le feste , ma anco le vituperano e le disonestano e l’abbominano. Et certamente se non s’amenderanno, per loro non sarÓ mai nÚ festa nÚ buon dý, nÚ mai avaranno quiete di riposo, ancho in etterna secula secolorum arderanno ne le pene dello ænferno.
Solo al mese di Dicembre, quando tutto si fermava, la gioia per l’approssimarsi della festa della NativitÓ e le condizioni meteorologiche che costringevano al chiuso allentavano le proibizioni :
E di Dicembre una cittÓ in piano;
sale terren’e grandissimi fuochi,
tappeti tesi, tavolieri e giochi,
e tortizzi accesi e star co’dadi in mano;
e l’oste inebriato e catelano,
e porci morti e finissimi cuochi.

Bestemmia e ira
? noto il topos letterario di genere religioso che si ritrova nella letteratura omiletica e nei sermoni, in cui si descrive l’abiezione in cui cade il giocatore, per colpa del vizio ludico; il racconto si sviluppa generalmente in questo senso: un giocatore incallito (spesso si tratta di un soldato) perde forte al gioco dei dadi o delle carte; comincia a bestemmiare la DivinitÓ, la Vergine o i santi e spesso vi si scaglia materialmente contro, sfregiando un immagine sacra; inevitabile la punizione finale del colpevole, per mano celeste o della giustizia secolare o del diavolo in persona o addirittura di un altro giocatore. Si tratta di una tradizione religiosa popolare cosý diffusa che se ne trovano esempi in tutta l’area latina almeno dal XII secolo: anche a Roma, nella Chiesa di Santa Maria della Pace, sull’altare maggiore Þ presente un’immagine della Vergine con bambino, sfregata in volto da un giocatore nel XVI secolo .
Altrove il genere si stempera nella beffa tirata al bestemmiatore ubriaco e spaventato che crede di essere diventato cieco o di essere morto e nell’inferno.
Eticamente meno grave Þ vista l’ira e la violenza privata, che tuttavia produce a volte danni sociali anche peggiori; se poi i due temi della bestemmia e della violenza si uniscono, l’effetto Þ devastante.
Detraendo uno dei cavalieri alle opere e a’ miracoli di sancto Francisco, giucando una volta a dadi, pieno di pacia e di crudeltÓ, dixe a’ circumstanti: – Se Francisco Þ sancto, venga ne’ dadi dieceocto ! – Incontinente in quelle apparve el sei triplicato e insino alle nove volte, a ogni suo tracto, venuto in tre dadi sei per dado. Ma egli, agiungendo pacia alla pacia, dixe: – Se egli Þ vero che questo Francisco sia sancto , ogi di coltello caschi el corpo mio! Ma se egli non Þ sancto , campi sano e salvo .- Finito el gioco, adciochÞ l’oratione sua si facesse in peccato, dicendo egli iniuria al nepote suo, quello, pigliato el coltello, transfixelo nelle viscere del barbano, overo zio, e incontinente occiselo.

Amore per le vanitÓ e i begli oggetti
San Bernardino da Siena (1380-1444) fu, tra gli altri, ispiratore di molti fal? delle vanitÓ in cui vennero distrutte centinaia di scacchiere, tavole, e mazzi di carte da gioco.
Nella crociata religiosa contro la passione del gioco indetta dal cardinale minorita Giovanni Capistrano, amico di Bernardino da Siena, furono arse nel 1452 2640 tavole reali, 40.000 dadi e un enorme catasta di carte da gioco .
Alcuni di questi oggetti erano purtroppo veri e propri capolavori dell’arte figurativa, e ne Þ rimasto ben poco; ci si pu? chiedere che fine avranno fatto i preziosi smalti, le pietre preziose, gli avori di erano fatte alcune scacchiere o tavolieri.
Considerato che molte carte erano miniate in oro, e che l’oro poteva essere recuperato semplicemente facendole bruciare e raccogliendo l’oro fuso in contenitori di pietra o metallo, proprio come pi¨ tardi, dal Cinquecento all’Ottocento si farÓ, con questo o con sistemi pi¨ rozzi per recuperare l’oro dai fondi dei dipinti dismessi dalle canoniche perchÚ passati di moda , si capisce forse l’entusiasmo popolare per tanto accanimento verso oggetti che poi, passata la buriana, tutti correvano a ricomprare, con vantaggio di produttori e barattieri.

Rovina delle famiglie
Se le considerazioni fatte sopra sulla considerazione dei valori immutabili dell’esistenza e viceversa sulla paura della diversa e incostante fortuna valgono pure per aspetti sociali, possiamo capire come il pericolo di rovinare i patrimoni e la fama di illustri famiglie terrorizzasse la gente e fosse efficace deterrente alle intemperanze dei pi¨ prodighi.
Un certo conte Gabriele, castellano di Bellenzona si dÓ al gioco ed alla dissipazione. La moglie ed i parenti, afflitti, lo blandiscono e lo minacciano, senza ottenere risultati.
Ma questo giovando niente, fu necessario che Filippo Maria Vesconte duca di Milano, suo Signore, liberalissimo principe de Italia, a istanzia de quisti parenti scrivesse a Gabriele gravissime lettere e minacciasselo de torli Bellenzona e de farlo morire incarcerato se non si desse al civile vivere e lassasse le sue cative e flagiziose opre. Ma questo ancora non fu de tanto peso che lui pi¨ che prima non giocasse, non ungesse la gola e non trastullasse cum le cative femine.
Ma non solo i ricchi giocavano.
Come sottolinea il brano di Lollio:
Veduto abbiamo ai giorni nostri alcuni,
che per giocar prostrato han l’honestate
De corpi loro: et non solo se stessi,
Ma la moglie, et le figlie (ah vituperio
Del guasto Mondo) et pur non Þ bugia,
Han dato in preda a mille sporche voglie.

PromiscuitÓ lasciva
? probabile che i giochi costituissero, almeno in ambiente urbano, un passatempo comune e frequente, almeno in termini di divertimento non finalizzato al guadagno. Erano sicuramente un mezzo che consentiva ai giovani di trascorrere del tempo lecito in compagnia degli innamorati.
S’a scacchi o vero a ttavole giocassi Colla tua donna, fa ch’aggie il piggiore Del gioco, e dille ch’ell’Þ la migliore Dadi gittante che ttu mai trovassi.
Le donne quindi, anche le donne del popolo partecipavano ai divertimenti, suscitando scandalo.
Giordano da Pisa, un predicatore domenicano del XIV secolo, confronta le donne del suo uditorio con l’esempio di una beata Cecilia che portava sempre con sÚ il vangelo di Cristo, leggendolo appena aveva tempo.
Non sono cotali immagini le donne nostre, che portano dadi in borsa come barattieri: doverrebbono ciascheduna avere suo libricciuolo, e leggerlo; e quelle che non possono leggere, si imparassono; e questa Þ la via.
L’immagine di queste donne fiorentine (evidentemente di ceto medio diremmo oggi) con i dadi nella borsa Þ veramente illuminante sulla diffusione dei giochi nelle classi sociali popolari e tra le donne in particolare. Peccato che sul tema del gioco non ci siano pervenute direttamente voci popolari femminili.
Se per le donne oneste il gioco rappresenta un pericolo, neppure le prostitute amano il gioco d’azzardo che ritengono un pericoloso concorrente della loro professione.
Nanna: Quanti denari ho io guadagnati con mettere in mezzo questo e quello! In casa mia cenava spesso gente, e dopo cena venute le carte in tavola, “Ors¨” diceva io, giochiamo duo giuli di confetti, e a chi viene, poniamo il caso, il re di coppe, paghi”; e cosý, perduti e comperati i confetti, le persone che, viste le carte, tanto si ponno tener di non ci fare quanto una puttana di non farne, cavati fuora i denari, cominciavano a far da dovero: intanto comparsi duo barri con volto di sempliciotti, fattosi pregare un prezzo, pigliate carte pi¨ false che i doppion mirandolini, balordon balordone tiravano a sÚ i denari dei convitati, accennandogli io del giuoco aveano in mano, parendomi poco la falsitÓ delle carte .

Nanna: Ascolta e impara a vender le merci tue; a la fede, Pippa, che se una che sale il suo amoroso fa una particella di quello che ti dir?, ella Þ atta a cavargli i denari degli stinchi, con altra astuzia che i dadi e la carte non gli cavano di quelli dei giuocatori .

Nanna: Fallo, non ti perdendo nel giuoco; perchÚ le carte e i dadi son gli spedali di chi ce si ficca drento: e per uno che ne porti nuova la sbernia, ce ne sono mille che ne van mendicando. Il tavoliere e lo scacchiere ti ornino la tavola; e quando si giuoca un giulio o due, ti bastano per le candele: perchÚ il poco che si vince Þ tutto della Signoria vostra; e non si giuocando alla condennata nÚ alla primiera, non si sente mai uno scorruccio, nÚ si dice mai parola che non si convenga; e quando sia che uno appassionato ne’ giocacchiamenti ti voglia bene, chiedegli di grazia, ma che ognun oda, che non giochi pi¨; e mostra di farlo perchÚ egli non si rovini, e non perchÚ gli dia a te.

Bari e Barattieri
Gli statuti comunali permettevano il gioco, sia pure spesso con limitazione a certi giorni o a certi periodi dell’anno in qualche modo derivati dai Saturnalia romani e da altri momenti dell’anno in cui il gioco era permesso e non si lavorava.
A tutela dell’ordine pubblico il gioco era permesso piuttosto di giorno ed in piazza, specie al mercato che di notte e al chiuso.
Nelle cittÓ che avevano mercati permanenti o addirittura pi¨ di un mercato, come Firenze, il gioco era ininterrotto e questo fenomeno fece nascere la pubblica baratteria.
Il termine baratteria di etimo incerto, derivato probabilmente dal provenzale, venne usato anche con il significato di distribuzione casuale , come si trova in Brunetto Latini:
e poi d’altra via
vedrai Filosofia
e tutte sue sorelle;
e poi udrai novelle
de le quattro vertute;
e se quindi ti mute,
troverai la Ventura;
a cui se poni cura,
chÚ non ha certa via,
vedrai Baratteria,
che’n sua corte si tene
di dare male e bene;
L’organizzazione pubblica del gioco, cioÞ la baratteria, Þ probabilmente pi¨ antica delle sue prime attestazioni che risalgono al XIII secolo; cosý come pure la tassazione sui dadi, attestata solo dal 1517 .
Se ci si chiede perchÞ nonostante la minaccia ideologica, etica e sociale del gioco e soprattutto perchÚ nonostante le grida avverso e la repressione dell’azzardo esso sia passato indenne e trionfante attraverso le fiamme dei roghi e le invettive dei predicatori, la risposta pu? essere molto semplice ed Þ che lo Stato, sia laico che religioso era il primo barattiere .
Lo Stato dotava i barattieri, alla stregua di pubblici ufficiali, di immunitÓ e di appoggio della forza pubblica.
E i suoi pi¨ alti funzionari erano i principi dei barattieri. La pratica era diffusa tra i preti. A confidarcelo Þ uno che fu pure lui ecclesiastico, Leon Battista Alberti.
Erano in lui alcuni vizii, e in prima quello uno quasi in tutti e’preti commune e notissimo: era cupidissimo del danaio tanto, che ogni cosa appresso di lui era da vendere; molti disorreano infami simoniaci, barattieri e artefici d’ogni falsitÓ e fraude.
Un’altra conferma:
Religiosi fai propietari,
somoniachi chierchi e baratteri,
baron rattor, cavalier usurari,
ladrone e fel ciascun nel su’ misteri,
d’amici e di fratel grand’aversari,
e tener fai quasi Iddio denieri.
Ma anche i giudici non scherzavano:
E uno meser Simone da Norcia giudice sopra rivedere le ragioni del Comune, ed era pi¨ barattiere che coloro cui condannava per baratterie.
Nel detto anno MCCCVIII , essendo podestÓ di Firenze uno messer Carlo d’Amelia fratello del primo esecutore degli ordini della giustizia, avendo egli e la sua famiglia fatte in Firenze molte baratterie, e guadagnerie e pessime opere, e giÓ di ci? molto scoperto, temendosi al suo sindicato esser condannato e ratenuto, la notte di Santo Giovanni del mese di Giugno furtivamente si fuggý con sua privata famiglia, onde fu condannato per baratteria. E per riavere pace e danari dal Comune si ne port? seco il suggello del Comune, dov’era intagliata l’immagine dell’Ercore e tennelo pi¨ tempo, istimandosi che l’Comune il traesse di bando, e ricomperasselo molta moneta…
Ci? nonostante i barattieri costituivano spesso una sorta di casta di paria.
Questo sia per via dell’immoralitÓ che veniva generalmente percepita in connessione alla loro attivitÓ, simile a quella degli usurai sia perchÚ era che bari e barattieri non si limitavano ad avvantaggiarsi della sfortuna degli altri giocatori, ma si procuravano illeciti guadagni truccando i ferri del mestiere:
E simili a questi molti ne possono succedere nel giuoco de’ dadi, ne’ quali gli angoli e la superficie sono di non picciola importanza; e quando non siano eguali, sogliono fare alcuni effeti ch’al caso non possono ridursi, de’ quali la malizia degli uomini ha fatto quasi un’arte. Nondimeno, perchÚ questi instrumenti da le mani de gli uomini sono maneggiati con alcuna determinata intenzione, molto pi¨ ragionevolmente la fortuna che il caso n’Þ stimata la cagione .
Dante delinea con concisione e profonda psicologia la storia esemplare di uno di loro:
I’fui del regno di Navarra nato,
mia madre a servo d’un Segnor mi puose,
che m’avea generato d’un ribaldo,
distruggitor di se e di sue cose.
Poi fui famiglia del buon re Tebaldo:
quivi mi misi a far baratteria;
di ch’io rendo ragione in questo caldo.
Accomunati dal poeta ai pi¨ infami, immersi nella pece bollente della bolgia infernale, i barattieri sono straziati dai demoni, cosý come loro straziarono i malcapitati giocatori che rovinarono in vita.
Ancora pi¨ interessante, se possibile, lo studio psicologico che, della categoria fa l’Alberti:
Uno giucatore, uno barattiero mai pare si possa riposare coll’animo. Vedilo, se vince, stare in agonia e bramare pi¨ di vincere almeno tanto che basti per riscuotere el vestire, per comprare il cavallo, per satisfare al creditore; sempre allo spendere sono pi¨ voglie che denari; e cosý, se perde si consuma di dolore, e arde di voglia di riscuotersi.
Come ci hanno mostrato i testi sopra menzionati la categoria dei barattieri si pu? dividere in due tipi principali: il ribaldo di strada, che forma la manovalanza del suo mestiere, ed il barattiere vero, capace di organizzare e di appaltare la lucrosa attivitÓ della sua professione.
Come quel:
…..frate Gomita,
quel di Gallura, vasel d’ogni froda,
……..
barattier non fu picciol ma sovrano.
Un Signore dei barattieri, dunque, cosa che non stupisce dato che si sa che questi formassero compagnie e corporazioni non meno importanti di quelle di altre arti e mestieri, riconosciute dai Comuni, probabilmente molto antiche, come prova il fatto che gli statuti di Padova e di Bologna del 1250 circa ne minacciano la cessazione.
Tale officio era giÓ stato dichiarato infame da Federico II in una Costituzione del 1236 .
? evidente attraverso gli statuti di molti comuni italiani che esistette in molte cittÓ un Potestas baratariorum . Si trattava di un pubblico ufficiale comunale o di un appaltatore indipendente, con il potere di portare armi in cittÓ – lui ed i suoi ufficiali – il dovere di tenere pulite le piazze e i luoghi ove si giocava e di far rispettare certe norme di buon costume, quali ad esempio il divieto di bestemmiare e di giocare troppo vicino alle chiese. Tale figura esistette per circa tre secoli: dal XIII (almeno) al principio del XVI secolo.
Non meno interessante Þ la categoria dei ribaldi, giocatori di professione senza arte ne’ parte come ce li dipingono Cenne della Chitarra, Masuccio Salernitano e Dante Alighieri:
…e star(e) come ribaldo in arnese,
con panni rotti , senza alcun denaio.

erano allora in Bologna arrivati dui giovini romani del rione de Treio , il quale andavano discorrendo per Italia con monete e dadi falsi e con mill’altri ingannevoli lacci, per ingannare altrui e mangiare e godere a spese del Crocefisso, dei quali uno era chiamato Liello de Cecco e l’altro Andreuccio da Valmontone.

Ma i’ si æl dava tutto a quel dolente,
C(h)’a ben far non fu anche intendente,
Ma tutto dispendea in ribalderia.
NÚ no gli pia(c)que nulla risparmiare,
Ch’e’ tutto no’l beves(s)e e nol giocasse,
Tant’era temperato a pur mal fare;
Gente temperata a mal fare e disposta a tutto, pure, all’occorrenza a fare da boia o da sicari.
Gente terribile come Bernardo di Nerino, vocato Croce, fu nel principio barattiere, e in questo tempo fu di sý forte e disprezzata natura che si metteva scorpioni in bocca (sic!) e con li denti tutti li schiacciava…
Oppure capace di ogni mestiere e quindi inaffidabile e probabilmente truffaldino, come quel Maestro Conco, il quale era di barattiere divenuto pollaiuolo, e di pollaiuolo era diventato medico.
Ad ogni modo questi barattieri pagano la loro miseria con l’essere i paria della societÓ, che non risparmia loro nessuna umiliazione. Come in un episodio narrato dal Villani, quando i fiorentini in guerra con i pisani, per dirisione feciono correre palii l’uno ad asini, l’altro a barattieri e æl terzo alle puttane .
Abbiamo visto i protagonisti della struttura dell’organizzazione pubblica e privata del gioco. I giocatori, orgogliosi della loro passione e bersagliati dalle frecce dei censori. I barattieri, in parte appaltatori o persino ufficiali dello stato; e in parte criminali comuni, gettatisi nel racket allora pi¨ conveniente, quello del gioco. I governi divisi tra la convenienza delle rendite della tassazione dei dadi e in seguito delle carte e i proventi degli appalti della baratteria, e la paura degli elementi destabilizzanti e sovvertitori del gioco.

Scalata sociale
Il gioco si lega a quella serie di trasformazioni sociali, religiose e soprattutto di concezione della vita che travagliano la societÓ italiana ed europea nel corso dei secoli.
Esso minaccia innanzitutto l’ordine economico. Ancora pi¨ che il commercio esso si dimostra estremamente lucrativo, pu? creare repentinamente grandi fortune: ma ci? a patto di barare, perchÚ altrimenti il rischio Þ inaccettabile. Questo aspetto Þ ben centrato dall’Aretino che puntualizza, forse per primo, e spudoratamente: Il Danaio che si spende Þ sterile, e quel che si gioca Þ fruttifero.
Un affare da non sottovalutare, soprattutto in tempo di guerra.
In avvenire cercher? di moltiplicare il guadagno. Far? che mi frutti bene il denaro che mi lasciate. Alzer? nella mia bottega due o tre banche di faraone ; m’interesser? nelle banche e guadagner? nelle carte e nel gioco. comprer? delle scatole e degli orologi dai giocatori. Prester? qualche denaro senza pericolo, e colla speranza di profittare. Tutte cose che in un’armata fanno arricchire prestissimo; non Þ egli vero?
La mentalitÓ dell’uomo del XVIII secolo Þ talmente consapevole di questo fatto che giunge alla conclusione paradossale e cinica di consigliare lo studio dei giochi d’azzardo, al posto di quelli delle belle lettere perchÚ pi¨ utili.
Quai saranno gli studi utili, domando io; quei che fruttano pi¨ denaro? Sý mi risponde taluno. Fate insegnare a quel giovine, replicher? dunque io, fategli insegnare a ben giuocare all’ombre o al picchetto : questa scienza ben appresa Þ pi¨ utile di qualunque altra che si possa imparare dai libri; il vostro giovine avrÓ un patrimonio assai pi¨ sicuro d’ogni altro, e col suo solo talento potrÓ vivere in ogni parte colta d’Europa.
Insomma il gioco diviene una forma di investimento per l’uomo accorto e concreto che sa farlo fruttare.
In pi¨ ci? avviene contro natura perchÚ senza fatica, anzi attraverso un’attivitÓ che Þ passione e piacere.
Ma cosa che Þ ancora peggiore, se possibile, essi pongono sullo stesso piano giocatori di estrazione sociale completamente diversa: il barattiere plebeo con il nobile signore, lo spregiudicato avventuriero dagli oscuri natali con il principe o addirittura con il papa, come dimostra la carriera di un Aretino: Tu non dai nel dý, credendoti, che nello interesse del denaio, che intraviene nel giuoco, come nelle altre cose; i gran maestri sian differenti da qual si voglia meccanico; non c’Þ il maggior piacere, che il por mente allo in che modo si sconquassa un Signore, quando non si sa se si debbe tenerla o lasciarla.
Il gioco si rivela cosý un potente mezzo di ascesa sociale e, contemporaneamente, minaccia l’immutabilitÓ dell’ordine e delle gerarchie.
Innanzitutto vengono sfatate tutte le certezze circa l’origine delle ricchezze. Fu a Cosimo un literato mal vestito, il quale, dimandato che voleva dire che era sý povero, disse essere stato rubato tra via. E, dicendo Cosimo :- Guardati piuttosto di non l’avere giocato! – , rispose: – Voi dite il vero che io ho giocato e perduto: e voi m’avete vinto la mia parte, come anche a degli altri la loro – , mostrando per questo le ricchezze essere un gioco di fortuna. Meravigliandosi di questo, Cosimo il rivestý e diedegli danari.
La letteratura riporta molti esempi di arricchimenti e conseguenti scalate sociali aberranti. Tra i tanti, l’Ariosto offre un esempio gustoso di un certo Bomba, personaggio che si confessa giÓ dal nome.
Diverso al mio parere il Bomba gracchia,
e dice: – Abb’io pur roba, e sia l’acquisto
o venuto pel dado o per la macchia:
sempre ricchezze riverire ho visto
pi¨ che virt¨; poco il mal dir mi noce:
si riniega anco e si biastemia Cristo.
– Pian piano, Bomba; non alzar la voce:
biastemian Cristo gli uomini ribaldi,
peggior di quelli che lo chiavaro in croce;
ma li onesti e li buoni dicon mal di
te, e dicon ver; che carte false e dadi
ti danno i beni c’hai, mobili e saldi.
E tu dai lor da dirlo, perchÚ radi
pi¨ di te in questa terra straccian tele
d’oro e broccati e velluti e zendadi.
Quel che devresti ascondere, rivele:
a’furti tuoi, che star dovrien di piatto,
per mostrar meglio allumi le candele:
e dai materia ch’ogni savio e matto
intender vuol come ville e palazzi
dentro e di fuori in sý pochi anni hai fatto,
e come cosý vesti e cosý sguazzi;
e rispondere Þ forza, e a te Þ avviso
essere grande uomo, e dentro ne gavazzi.
? inaccettabile per l’ordinamento sociale che carte false e dadi diano al ribaldo la possibilitÓ di accumulare beni mobili ed immobili. Ma Þ soprattutto inaccettabile che la reverenza attribuita alle ricchezze trasformi il malfattore in grande uomo, cosicchÚ in qualunque luogo che si vada,/ da Conti, da Baron’, Marchesi , e Duchi,/ da Re, da Imperador’ glie fatta strada .
La tipica scalata sociale del giocatore di professione Þ descritta ancora dall’Aretino. Egli che Þ pi¨ plebeo, che la plebe; cominci? rafazonato d’una Casacchetta di velluto duro per la colla, come una carta pecorina, con le sue scarpe di terzopelo, e la berretta ancora, ad intervenire per le Corti de gl’Ambasciatori, de i Signori, de i grandi Huomini; e ficcatosi tra loro; dal giuocare con essi, venne al mangiare, dal mangiare allo spasseggiare, onde il tu se gli converte in voi; e il Messere in Signore; talchÚ adesso spaccia il fumo della degnitÓ, come egli meritasse i suoi honori .>>

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