venerdì 29 Marzo 2024

PLAY 2017 – Impressioni di gioco – Parte 6

Ultimo episodio delle nostre impressioni di gioco da PLAY 2017, in cui vi parliamo di un gioco di ruolo in versione minigame, di un prototipo di un gioco destinato ai più piccoli in arrivo per Essen e di tre giochi già disponibili nei negozi.  Nei prossimi giorni condivideremo con voi altre anteprime, approfondimenti e chiacchierate con designer e editori incontrati durante il festival del gioco modenese.  Ora vi lasciamo alle nostre prime esperienze con:

–          Fleshscape
–          Honshu
–          Il principe ranocchio
–          Uccellini
–          Warehouse 51

Fleshscape(editore: GGStudio)
Impressioni di gioco di: Eugenio Lauro

Aspettative iniziali: 5 di 5 (avevo già letto la versione inglese e mi aveva impressionato)
Magnetismo del tavolo: 4 di 5 (lo schermo monopolizza l’attenzione creando atmosfera)
Rapidità di comprensione: 4 di 5 (semplice ma non immediatissimo per essere un minigame)
All'atto pratico: 3 di 5 (divertente ma non esaltante, poco sfruttate le peculiarità)
Retrogusto: 4 di 5 (buon rapporto qualità/prezzo, da approfondire se piace il tema)

Quello dei minigame è un settore con il suo fascino, per chi apprezza la sintesi e il game design asciutto e poi questo formato rappresenta la migliore espressione ludica senza eccezione per i gd. Fleshscape è apparso su drivethru in modalità “pay what you want” ed ha subito attirato l’attenzione dei talent scout per il suo impatto grafico per la ricercatezza delle meccaniche. GGStudio ci ha messo l’esperienza editoriale per farlo diventare un prodotto finito, concentrando il contenuto all’interno di un classico schermo del master, in modo che diventasse nello stesso tempo gadget e gioco completo, un’idea che va a rappresentare il primo titolo di una linea editoriale chiamata “screenshot”. La qualità del prodotto è ottima e il gioco stesso mostra una buona padronanza delle tecniche più recenti di game design, con qualche ottima idea (le armi a due mani e il crafting, per esempio), compresa l’ergonomia della scheda del personaggio, compilabile tramite una serie di scelte successive (basta una spunta da una lista). Il gioco ci fa vestire i panni dei membri di una tribù di stampo primitivo che si aggira in un mondo fatto letteralmente di carne, umori, ossa e tendini, come fosse lui stesso un essere vivente. Il gioco include anche una parte gestionale dove si deve amministrare il clan (attraverso i png) e una serie di tabelle per la generazione casuali di elementi di ambientazione, che rimane appena tratteggiata. La demo è andata spedita, grazie alla semplicità del regolamento, ma la situazione scelta, una sorta di dungeon crawling, probabilmente non ha espresso al meglio le potenzialità del gioco, facendomi trovare spesso a non capire esattamente cosa stesse succedendo, complice anche, senza colpa, il setting particolarmente alieno e privo di stereotipi a cui appigliarsi. In questo senso un’ambientazione primitiva classica, seppure con elementi fantastici (che in fleshscape non mancano) sarebbe stata più facilmente “digeribile” (per rimanere in tema) ma in ogni caso, non è un elemento di disturbo, dal momento che sin dall’inizio è stato evidente che le ridotte dimensioni del gioco avrebbero sacrificato alcuni aspetti. magari una maggiore focalizzazione su un compito avrebbe reso più semplice indirizzare la sessione ma il potenziale del gioco resta comunque buono, potenziale che ben si presta a evoluzioni future.

Honshu (editore: Playagame edizioni)
Impressioni di gioco di: Enrico Procacci

Aspettative iniziali: 3 di 5 (meccaniche di costruzione città: a me piacciono)
Magnetismo del tavolo: 2 di 5 (l’occhio non viene appagato molto)
Rapidità di comprensione: 4 di 5 (regole semplici, ma c’è da fare un paio di turni prima di capire le strategie)
All'atto pratico: 3 di 5 (ci è piaciuto, ma in cinque dura troppo)
Retrogusto: 4 di 5 (l’abbiamo acquistato e, riprovato in tre dopo l’acquisto, ci è piaciuto decisamente di più)

Honshu è un titolo che a primo impatto fatica un po’ a farsi capire. L’immagine in copertina è quella di un Giappone medievale, ma questa caratterizzazione si perde subito messi di fronte alla componentistica: si tratta di un mazzo di 60 carte, ognuna delle quali reca su di sé sei quadratini di città (abitazioni, foreste, maggese o laghi) ed un numero da 1 a 60. Ad ogni turno, tutti debbono giocare una delle carte dalla propria mano. In ordine di numero di carta giocato, ogni giocatore sceglie quale tra queste carte incorporare nella propria città. Le nuove carte possono essere messe sopra o sotto le precedenti, basta che si sovrappongano per almeno un quadratino. Ovviamente, tipi di quadratini differenti fanno fare punti in maniera differente. Inoltre c’è una piccola gestione di risorse: alcune zone possono fornire un cubetto colorato che potrà essere poi usato per aumentare il numero della carta giocata oppure, a fine partita, per fare punti se si dispone anche di una zona speciale dello stesso colore.
La partita in cinque non ci ha soddisfatti tantissimo, ma viste le potenzialità, abbiamo fatto l’acquisto. Giocato in tre, la sera stessa li a Modena, ci è piaciuto decisamente di più, fornendo anche maggiore strategia nella scelta della carta per la meccanica d’asta. Adatto a chi piace costruire città.

Il Principe Ranocchio(editore: Doppio Gioco)
Impressioni di gioco di: Marco Signore

Aspettative iniziali: 5 di 5 (ho visto il prototipo mentre giocavo e mi è piaciuto…)
Magnetismo del tavolo: 5 di 5 (ranocchie di gomma che possono estroflettere la lingua!!!)
Rapidità di comprensione: 5 di 5 (intuitivo e regole semplicissime)
All'atto pratico: 5 di 5 (è divertente!)
Retrogusto: 5 di 5 (sarà anche un gioco per bambini ma è di uno sfizio assurdo)

Questo “The Frog Kiss”, o Il Principe Ranocchio, è stato il primo prototipo della Doppio Gioco su cui ho posato gli occhi: un tabellone che raffigurauno stagno pieno di meeple, con delle foglie di ninfea rappresentate da dischi mobili su cui poggiavano delle ranocchie di gomma con la lingua estroflettibile: basta schiacciarle e la lingua parte in avanti! Bene, da subito ho intuito che il gioco consisteva nell’abbattere i meeple con le lingue delle ranocchie. Le regole sono un tantino più articolate di così, ma nel gioco  si impersonano principi trasformati in rospi, che devono raccogliere (cioè abbattere a linguate) un determinato numero di meeple di due o più colori (definiti all’inizio della partita), e poi baciare (cioè abbattere a linguate) il pedone di legno che rappresenta la principessa. Durante la partita si possono anche spostare le ninfee oltre che interagire con gli altri anfibi saltandoci sopra e sottraedo loro spazio di manovra. Il gioco base è vinto da chi abbatte per primo un determinato numero e tipo di meeple, ma la versione avanzata fornisce abilità speciali per ogni singolo ranocchio (il mio aveva una linguata bonus) e diverse principesse da salvare, ciascuna delle quali ha le sue specifiche condizioni di vittoria. Posizionarsi sulla ninfea giusta e colpire i meeple è divertentissimo, e nella versione finale i meeple saranno più alti di quelli con cui abbiamo giocato, quindi più facilmente bersagliabili con le lingue degli anfibi di plastica a nostra disposizione. L’unico mio dubbio è sulla resistenza delle rane e delle loro lingue di gomma, ma per il resto Il Principe Ranocchio è veramente divertente, un bel modo di chiudere una serata o aprire una sessione di gioco, e naturalmente sarà molto gettonato dai bambini (e dai giocatori come me che si divertono con questo tipo di titoli). Aspetterò dunque con impazienza Essen per vedere la versione definitiva, e magari aggiungerla alla mia collezione!

Uccellini (editore: Cranio Creations)
Impressioni di gioco di: Ivano Franzini

Aspettative iniziali: 4 di 5 (avevo visto qualcosa in rete e mi ero fatto una buona impressione)
Magnetismo del tavolo: 3 di 5 (molti tasselli con simpatici uccellini colorati)
Rapidità di comprensione: 5 di 5 (è praticamente un memory)
All'atto pratico: 5 di 5 (intuitività ai massimi livelli)
Retrogusto: 4 di 5 (non l'ho acquistato subito ma lo tengo d'occhio)

Dopo la prova di 3 desideri è stato facilissimo avvicinarsi al tavolo lì vicino e iniziare a giocare anche a questo Uccellini. I simpatici volatili raffigurati sulle tesserine appagano l'occhio e attraggono facilmente i passanti che vogliono subito capire di che si tratta.
Nella sostanza siamo di fronte a un Memory 2.0 dove ogni giocatore dovrà voltare uno dei tasselli a tavola ed eventualmente prenderlo qualora contribuisca a completare le combinazioni di tessere richieste per la vittoria, formate da 1, 2 e 3 uccellini dello stesso colore. Tali serie vanno composte in ordine partendo però necessariamente da 1.
Allo sfruttamento delle capacità di memoria eidetica, si affianca anche un pizzico di deduzione, dato che esiste un criterio noto che accomuna le facce dei tasselli in gioco (se in una faccia si trova un uccellino giallo, ad esempio, sull’altra faccia ce ne potranno essere o 2 dello stesso colore o uno di un altro) e dato che, voltata una tessera che non serve, la si può rimettere al centro del tavolo in posizione non necessariamente corrispondente a quella dove si trovava.
La partita fatta è andata via rapidamente e senza tempi morti (d'altronde eravamo tutti concentratissimi per tentare di ricordare le tessere a noi utili) e ne avremmo fatta quasi anche un'altra, ma abbiamo preferito lasciare spazio ad altri.
La sensazione è che anche la fortuna abbia il suo peso – magari nell'individuazione prematura della tessera utile – ma tutto sommato per un titolo con questo target non reputo questo un grosso problema. Se mi capita lo rigiocherò sicuramente.

Warehouse 51(editore: Pendragon Game Studio)
Impressioni di gioco di: Francesco Maltoni

Aspettative iniziali: 3 di 5 (i giochi light in fiera sono sempre i migliori da provare)
Magnetismo del tavolo: 2 di 5 (la disposizione dei componenti non mi ha stregato. Niente di grave, intendiamoci, ma solo perché mi pareva già vista)
Rapidità di comprensione: 5 di 5 (regolamento totalmente intuitivo e ben illustrato)
All’atto pratico: 4 di 5 (Semplice ma “immersive” direbbero gli americani, più di quanto previsto)
Retrogusto: 4 di 5 (assai positivo, per un risvolto…imprevisto)

Warehouse 51 simula il crack degli Usa nel 2038 e i giocatori sono milionari a caccia di reliquie. Il titolo edito da Pendragon a tripla firma, in cui la premiata ditta Sergio Halaban e Andrè Zatz ha trovato sponda in Bruno Faidutti. Parte da un incipit alquanto intrigante: offrire lingotti per agguantare reperti come “Il santo Graal” o “La pietra filosofale”.
Abbiamo testato questo gioco di aste e selezione di carte in anteprima a PLAY. Nell’arco di vari turni si svolge una sfida a colpi di rialzi sulle reliquie più incredibili appartenenti a vari secoli e culture. Sono quattro categorie in cui vengono classificate le varie carte, distinte dai colori Blu (Letteratura occidentale), Vede (Mitologia europea), Oro (Medio oriente), Rosso (Estremo oriente). Attenzione, però: in ogni partita verranno sistemate carte falso tra un giocatore e l’altro, conosciute solo da coloro che le avranno ai propri lati. Partendo con una dotazione iniziale di 10 lingotti d’oro ogni faccendiere dovrà realizzare la migliore collezione, e potrà farlo alzando la posta dei beni di volta in volta esposti al centro del tavolo tramite aste palesi, o facendo una singola puntata nelle aste segrete (dipende dalla carta). Bisogna tenere conto che alcuni manufatti potranno essere farlocchi e il loro valore a fine partita, quando tutti i falsi saranno rivelati, scenderà a zero. Questo “Warehouse 51” punta su meccaniche consolidate e consente a chiunque una immersione completa in pochissime battute. Il regolamento è semplice e i singoli effetti delle carte danno l’idea di rendere imprevedibili soprattutto i primi incontri. Al termine della nostra prova ci siamo immedesimati a ipotizzare nuovi scenari con carte e situazioni diverse, soprattutto perché la dinamica dei falsi rende molto interessante la prospettiva di “aste bluff” per ingannare gli avversari. Insomma, esperienza soddisfacente e sicura voglia di riprovarci.
I componenti sono minimali, ma ben realizzati: le plance giocatore sono chiare e molto rigide, i segnalini inconfondibili e il setup fulmineo, come si richiede a un titolo light. Unico neo percepito: non può essere giocato in 2 giocatori, ma le compagnie che apprezzino giochi immediati, non totalmente controllabili e da esaurire in poco più di mezz’ora non se lo lasceranno certo sfuggire.

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