sabato 20 Aprile 2024

PLAY 2017 – Impressioni di gioco – Parte 4

Non pensiate che nel nostro girovagare tra i tavoli di PLAY ci siamo dedicati solo ai boardgame appena usciti. In questo quarta puntata delle nostre impressioni di gioco, ad esempio, vi parliamo anche di un gioco di ruolo molto atteso e di un paio di titoli in dirittura di arrivo che gli editori si sono “azzardati” a presentare al pubblico proprio in occasione di PLAY.
Ecco quindi le prime impressioni di:
– 7th Sea
– Campus Cafè
– iCon
– Kung fu Party
– Wrong Chemistry

7th Sea(editore: Need Games)
Impressioni di gioco di: Eugenio Lauro

Aspettative iniziali: 5 di 5 (ha raggiunto il milione di dollari su KS, aspettative altissime)
Magnetismo del tavolo: 3 di 5 (preparazione spartana ma con tutto l’essenziale, manuale ottimo)
Rapidità di comprensione: 4 di 5 (meccaniche di base complessivamente semplici)
All'atto pratico: 5 di 5 (demo ottimamente supportata, il gioco sembra mantenere le promesse)
Retrogusto: 4 di 5 (un gioco sicuramente che può soddisfare un’ampia platea, da approfondire)

7th Sea si presenta nella sua veste italiana dopo aver sbancato il Kickstarter statunitense con un finanziamento da record. La Need Games ha realizzato un prodotto che, “hands on” appare di qualità ottima, un gradino sopra la media delle produzioni analoghe, robusto, chiaro, leggibile. Al tavolo, le aspettative erano alte, in parte per la risonanza che ha avuto sui mezzi di comunicazione, in parte perché il gioco ha la fama di abbracciare filosofie di gioco di diversa estrazione. Il gruppo era numeroso (sette partecipanti) ed eterogeneo per formazione e anagrafica, il master molto preparato, sintetico e in grado di recepire i feedback di tutti i giocatori. L’avventura giocata, nell’arco di poco meno di due ore, è stata in grado di far emergere le potenzialità del gioco pur essendo basata sulla quasi totale improvvisazione. Come regolamento vuole, il gioco nasce e si nutre anche delle idee dei giocatori, che hanno proposto la missione e che durante lo svolgimento, hanno contribuito ad arricchire con l’aggiunta di nuovi elementi a quelli descritti del master, una peculiarità del gioco che si avvicina alla narrazione condivisa pur non raggiungendola pienamente. Se lo scopo delle meccaniche, semplici quanto può essere semplice utilizzare un pool di D10 pari alla somme di due caratteristiche, è quello di spingere ad azioni rocambolesche, drammatiche e in generale, sopra le righe, direi che è pienamente raggiunto. Il gioco sacrifica la rigidità della scala tattica a favore dell’azione frenetica e della descrizione colorita (con regole apposite) mettendo a disposizione un palcoscenico di tutto rispetto: una rivisitazione in chiave avventurosa e low fantasy dell’Europa rinascimentale dalla geografia rivoluzionata (appaiono i corrispettivi di Italia, Francia, Spagna, Germania, Russia, Inghilterra, ecc…) dove le neonate identità nazionali ospitano intrighi di palazzo, raid in luoghi oscuri e ovviamente, le incursioni piratesche che sono diventate uno dei temi più caratterizzanti del gioco. Insomma tutto sembra spingere sull’acceleratore in questo gioco, che si tratti di azione pura o anche solo di una liaison tra due protagonisti, con un sistema di regole semplice ma non semplicistico che richiede una certa dose di creatività ma che ricompensa con evoluzioni guascone di stampo cinematografico.

Campus Cafè(editore: Doppio Gioco)
Impressioni di gioco di: Marco Signore

Aspettative iniziali: 2 di 5 (l’ho intravisto durante una partita ad un altro gioco)
Magnetismo del tavolo: 2 di 5 (essendo un prototipo i colori erano poco attraenti)
Rapidità di comprensione: 5 di 5 (semplice da spiegare e da comprendere)
All'atto pratico: 4 di 5 (rapido e piacevole)
Retrogusto: 4 di 5 (pur avendolo giocato in due, mi è piaciuto)

Campus Cafè è un gioco di piazzamento dadi in cui bisogna evadere degli ordini in una caffetteria di un campus universitario in tipico stile USA anni ’50. Assieme ad altri due titoli del nuovo editore Doppio Gioco Press, a PLAY era disponibile la versione prototipale, da provare in attesa che il gioco venga pubblicato ufficialmente, presumibilmente in autunno.
I giocatori tirano due dadi e ne usano i colori per raccogliere risorse (caffè, frappè, muffin, etc.) e servirle ai clienti, che sono rappresentati da carte con determinate combinazioni di ordini. Più l’ordine è complesso più vale punti, naturalmente. I colori sui dadi sono solo tre, però ognuno fornisce diverse possibilità di scelta, ciascuna con differenti ingredienti: sarà così possibile usare per esempio un risultato rosso per acquisire un unico dolce o più bicchieri di caffè e moka. Inoltre, ogni partita ha due bonus speciali, legati all’uso di particolari ingredienti o al servire specifici tavoli o tipi di clienti. Una partita dura molto poco perché termina quando finiscono le carte clienti (che sono in quantità predeterminata in base al numero dei giocatori), ma permette di sviluppare strategie, alcune delle quali comprensibili sin dalla prima partita: per esempio io mi sono dedicato a servire tavoli con coppie, che per questa partita forniva un bonus e infatti ho vinto anche se per pochissimi punti. Il dimostratore mi ha detto che il gioco dà il meglio in 4 persone, ma in due io l’ho trovato piacevole, rapido e divertente. Un filler, insomma, che lascia spazio alla tattica e non annoia. Magari l’ambientazione non è particolarmente facile da sentire – ma nei filler questo aspetto è naturalmente subordinato all’efficacia delle meccaniche, però il gioco mi è piaciuto e certamente sarà un altro titolo che terrò d’occhio, quando uscirà, nel prossimo autunno di fuoco del panorama ludico europeo.

iCon(editore: Dv Giochi)
Impressioni di gioco di: Enrico Procacci

Aspettative iniziali: 2 di 5 (intravisto mentre attendevamo si liberasse un tavolo per altri giochi)
Magnetismo del tavolo: 1di 5 (il mazzo riposava inerte sul tavolo, con poco di sé da mostrare)
Rapidità di comprensione: 5di 5 (immediato)
All'atto pratico: 3di 5 (tre giocatori non è il numero ottimale)
Retrogusto: 4di 5 (in più giocatori, appare avere un ottimo rapporto qualità/prezzo)

Ed eccolo lì, abbandonato sul tavolo, un mazzo composto interamente da icone di ogni tipo, dallo smile alla cacchetta, passando per segnali stradali e casette. A primo impatto si è a metà tra un Dixit e un Imagine, ma il gioco assomiglia più al primo titolo che al secondo. Si tratta, abbiamo scoperto leggendo il breve regolamento, di avere a turno un narratore che chiederà agli altri di rappresentare il proprio stato d’animo durante un particolare avvenimento. Per i più pigri, vi è una lista al termine del piccolo manuale: ad esempio, il narratore potrebbe fare la domanda “come mi sentirei se schiacciassi uno scarafaggio a piedi nudi?”. Gli altri giocatori dovranno quindi selezionare una delle icone dalla loro mano che ben possa rappresentare questa emozione, le carte scelte verranno quindi mischiate e il narratore dovrà infine decidere qual è l’icona che meglio risponde alla domanda. Tutto qui! Avere icone strampalate in mano potrà non aiutare, ma qualche interpretazione più fantasiosa (e divertente!) potrà anche attirare maggiormente l’attenzione del narratore.
Si tratta certamente di un gioco senza eccessive pretese, adatto soprattutto a essere giocato tra persone che ben si conoscono, ma la trasportabilità e il costo lo rendono comunque interessante. Un piccolo appunto: le frasi di esempio potevano essere un pochino più varie. Ci è parso che esse tendano a evocare in primis i sentimenti di disgusto e rabbia, anche se bisogna pur ammettere che si tratta di quelli più semplici da rappresentare con frasi generiche.

Kung fu Party(editore: Raven)
Impressioni di gioco di: Ivano Franzini

Aspettative iniziali: 1 di 5 (sono capitato al tavolo più o meno per caso)
Magnetismo del tavolo: 1 di 5 (una carta personaggio davanti a ognuno)
Rapidità di comprensione: 5 di 5 (gioca una carta e urla)
All'atto pratico: 3 di 5 (si gioca in un baleno)
Retrogusto: 2 di 5 (trascurabile)

Nell'attesa che si liberasse il tavolo demo di Mystic Vale, ho deciso di scegliere questo titolo come riempitivo data la mia ferrea convinzione che tale tipo di giochi rende sempre molto bene in contesti fieristici.
Le premesse c'erano tutte: una spiegazione di un minuto che introduceva una sfida a colpi di kung fu tra dojo formati da simpatiche bestioline "chibi style". Ho fatto dunque presto a indossare la mia fascia da combattimento e a cominciare a urlare ai quattro venti (o meglio ai quattro padiglioni???) i colpi che sferravo ai miei avversari, usando le formule indicate sulle carte.
Le regole sono presto dette: si individua un avversario della fazione avversa e si sceglie una carta attacco dalla propria mano. Il bersaglio fa lo stesso con una carta difesa e le si scoprono contemporaneamente urlando il grido di battaglia. Confrontando la distribuzione di pugni e parate raffigurati, si verifica se l’attaccante ha inflitto una ferita o meno. Ogni giocatore ha 4 ferite e se ne dovesse subire 2, andrebbe in modalità furiosa, voltando la propria carta personaggio e aumentando le proprie capacità offensive.
Come dicevo, presto ho iniziato a giocare, ma altrettanto presto mi sono reso conto che l'unico aspetto che poteva essere influenzato dalle proprie scelte era quello di selezionare la carta che avesse le potenzialità di sferrare più colpi all'avversario…un po' pochino – a mio modo di vedere – anche nel novero di giochi del genere, specie se in sostanza la parte più divertente si rivela essere quella di pronunciare grida di battaglia.
Insomma, se volete generare un po' di cagnara per qualche minuto è ok, ma dubito che il trasporto possa durare per più di una partita.

Wrong Chemistry(editore: MAGE Company)
Impressioni di gioco di: Enrico Procacci

Aspettative iniziali: 1 di 5 (seduti al tavolo senza sapere nulla di cosa ci avrebbero fatto giocare)
Magnetismo del tavolo: di 5 (un tabellone composito molto semplice, dalla grafica spartana)
Rapidità di comprensione: di 5 (bisogna imparare qualche mossa, ma nessun problema)
All'atto pratico: di 5 (un buon equilibrio tra complessità ed immediatezza)
Retrogusto: di 5 (quasi un solitario)

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Al di là della bizzarra ambientazione (decisamente azzeccata), cosa ci offre Wrong Chemistry? Una manciata di grandi tessere, dei segnalini bianchi e neri e un mazzo di carte. Ognuna di queste contiene un obiettivo, corredato dei punti in palio per l’ottenimento. A ogni turno si avranno a disposizione alcune mosse per muovere le tessere e i segnalini, in modo da arrivare esattamente alla disposizione su una delle nostre carte; fatto questo, la possiamo incamerare come punti.
Non è affatto male il livello di complessità ottenuto dal gioco: spesso la soluzione non è banale, ma quantomeno si capisce in fretta se un obiettivo è raggiungibile o meno con le nostre mosse a disposizione. Il gioco procede quindi liscio come l’olio e alquanto rapidamente, con un unico appunto: di fatto si tratta sostanzialmente di un solitario. Al mio turno dovrò solamente cercare di ottenere più punti possibile dalle mie carte; prepararsi una mossa per i turni successivi è sostanzialmente impossibile. Anche giocando in due, al turno seguente la situazione sarà talmente diversa che fare piani oltre la singola mossa è impraticabile. La cosa non ci mette molto a diventare un po’ ripetitiva, anche se l’opzione di scartare le proprie carte obiettivo per pescarne di nuove tenta di vivacizzare il gioco. Un pizzico di interazione in più avrebbe certamente reso il gioco migliore.

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