martedì 19 Marzo 2024

Lucca Games 2015 – Xenocosm: a scuola di worldbuilding con Mark Rein-Hagen

Nel ricco programma di conferenze di Lucca Comics & Games, nel circuito “Lucca Games Educational” ha trovato spazio una seminario sulle tecniche di creazione di una nuova ambientazione, tenuto da una figura storica del settore ruolistico, quel Mark Rein-Hagen autore del celebre gdr Vampiri La Masquerade e fondatore della White Wolf, venuto a Lucca a presentare il suo ultimo gioco “I am Zombie” basato sull’universo definito “Xenocosm”. Sebbene limitati da un NDA sui dettagli della nuova fatica del designer e imprenditore americano, possiamo comunque condividere i concetti che ci ha trasmesso e che lui stesso ha utilizzato per tutti i suoi progetti…

Come anticipato il tema era il worldbuilding, nello specifico quello applicato alla creazione di ambientazioni per giochi di ruolo ma come abbiamo appreso nel seminario, la linea di demarcazione tra generi è molto labile, il worldbuilding sta alla base di molte opere creative, non ultima quella televisiva e cinematografica.
A riprova di questo concetto Mark ha citato la serie tv “True Blood”, a suo giudizio fortemente ispirata al World of Darkness e soprattutto al serial “Il Trono di Spade” dove il worldbuilding emerge in maniera particolarmente evidente in quanto la differenza nella serie la fa proprio l’ambientazione, dal momento che le stesse vicende potrebbero svolgersi anche in altri circostanze.
Nella sua esperienza hollywoodiana, il worldbuilding viene prima della sceneggiatura e la travalica, perché il limitarsi a descrivere ciò che viene visto, non produce la sensazione di un mondo vivido e coerente. Il segreto è “creare anche quello che non si vede”, perché alla fine questo lavoro traspare nel prodotto finale rendendolo più completo e credibile. Di certo, ci spiega Mark, è un lavoro duro e più complesso di quello che sembra, nel suo caso ci sono voluti anche 6 anni per arrivare al prodotto finale ma i benefici sono concreti e li abbiamo conosciuti tutti giocando le sue ambientazioni passate, ancora frequentate dopo più di vent’anni.

Nel processo creativo che sta alla base del suo lavoro, Mark utilizza varie metodologia, tra cui spicca senz’altro la “Creative Destruction” (distruzione creativa). Questa tecnica prevede la continua messa in discussione di idee precedentemente ritenute valide, idee che vengono tutte archiviate (anche quelle scartate) e riproposte a distanza di tempo per testarne la validità, con la consapevolezza che anche da un errore potrebbe nascere un nuovo spunto. Terminato il processo di distruzione creativa, una sorta di brainstorming mirato a collezionare i concetti più convincenti, si può realizzare quello che Mark chiama il “3D Jigsaw” (puzzle tridimensionale) ovvero la definizione delle interconnessione tra i vari aspetti di un setting (storia, economia, religione, società, ecc…). Un momento fondamentale che può sempre attingere dalla distruzione creativa dove le “crazy shitty ideas” (idee folli) possono sempre tornare utili in una nuova veste. Il puzzle tridimensionale, come suggerisce il nome, serve appunto a rendere credibile l’ambientazione, facendo in modo che ci sia sempre un nesso di causa-effetto tra gli elementi del setting, e non capiti mai che gli eventi restino fini a se stessi.
A delineare meglio gli elementi che costituiscono l’ambientazione in costruzione, concorre poi la definizione delle “Tagline” (slogan) ovvero delle brevi battute, sullo stile degli slogan pubblicitari, che hanno il doppio scopo di definire il feeling, il retrogusto dell’ambientazione e fungere da promemoria. E’ questo il momento di utilizzare anche i “Visual” (elementi visivi) da associare alle tagline, in modo da iniziare a coniugare l’elemento descrittivo con quello visivo, che riveste un ruolo importate di sintesi e trasmissione delle informazioni. A completare gli elementi principali del puzzle tridimensionale infine, vengono i “Sideshow” (eventi secondari) ovvero tutte quelle situazioni interessanti, che arricchiscono l’ambientazione ma che non vano ad impattare direttamente sulle interconnessioni principali.
Mark ci spiega poi che nella costruzione di una ambientazione e di un gioco in generale, non si può prescindere dalla scelta corretta del numero di elementi meccanici da inserire nel manuale.  Dai sui studi di psicologia, il dimensionamento degli elementi ricade all’interno di due numeri ben precisi: 3 e 7. Nel caso di principi fondanti, come ad esempio le caratteristiche di un personaggio, secondo Mark 3 elementi sono il numero giusto, perché 2 ridurrebbe la scelta al banale conflitto bene-male, mentre 4 elementi sarebbero dispersivi. Allo stesso modo quando si devono elencare tipologie variegate, come ad esempio gli archetipi di un gioco, 7 è il numero corretto (“I am Zombie” ne ha otto e per sua ammissione nei prossimi giochi li ridurrà a sette). Questo dimensionamento per Mark è fondamentale per l’ottimizzazione dei tempi di gioco e la restituzione al giocatore di sufficiente variabilità, per dirlo con parole sue: “Numbers can save your ass” (i numeri ti salvano la giornata).

Tornando al worldbuilding lo scopo finale è il non dare troppe informazioni ma quelle necessarie a innescare il gioco e a farlo contribuire dai giocatori. L’ideale, per lui, è quello di inserire un nuovo concetto in ogni pagina del manuale, non di più e non di meno, utilizzando poi un approccio graduale all’acquisizione di queste informazioni, possibilmente durante il gioco stesso, secondo la logica “dell’imparare giocando”.
Interessante il concetto di playtesting progressivo dell’ambientazione, dove singoli elementi vengono provati senza meccaniche (una sorta di freeform), un procedimento utilizzato anche a Hollywood. In questo processo la collaborazione è fondamentale, il game designer agisce come direttore d’orchestra, collezionando e armonizzando gli spunti senza personalismi che castrino la creatività, ricordando sempre che un’idea può essere stravolta in qualsiasi momento, come avviene poi in gioco.
Prima di iniziare la seconda parte del seminario, in cui i partecipanti sono stati direttamente coinvolti in un esercizio creativo, Mark ha ribadito l’importanza di prendersi una pausa durante il processo di worldbuilding, quando la creatività viene messa a dura prova o inizia a latitare. Secondo la sua esperienza un periodo di pausa ottimale va dalle due settimane ai tre mesi, la fretta non produce buoni risultati.
Al termine del seminario, Mark è stato molto disponibile nel rispondere alle domande sul suo nuovo gioco ed ha dimostrato la massima apertura nell’accettare consigli e contribuzioni, ricordandoci che proprio dalla diversità di pensiero (nel suo team ci sono persone da tutto il mondo) nascono le tagline migliori.

Non ci rimane dunque che metterci nei panni degli zombie senzienti del suo nuovo gioco e vedere come e quanto, la teoria si può trasformare in divertimento.

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