mercoledì 24 Aprile 2024

Intendersi d’intenti!

Può capitare, nella vita di un appassionato di giochi, di dover descrivere un gioco con poche, pochissime parole: un amico che chiede informazioni nel caos di una fiera, un nuovo giocatore a una serata ludica, un gruppo di gioco che si vuole convincere a giocare proprio a quel titolo.
Avrete notato come nella maggior parte dei casi a seconda del tipo di gioco si usano parole diverse. Se state tessendo le lodi di un gioco d’avventure fantasy, parlerete principalmente di quanto bene il tema è stato reso, della bellezza dei materiali, del clima di sfida che si respira al tavolo. Se state parlando di un eurogame di piazzamento, probabilmente direte quanto sono fluide, eleganti e profonde le meccaniche.
Questo si riflette in maniera più o meno simile quando si deve descrivere il gioco con una due parole: ecco che Descent è un dungeon crawler (intento di gioco), che Caylus è un worker placement (meccanica) e che Quarriors è un gioco di dadi (materiali).
Insomma, si cerca di isolare la particolarità del gioco, la cosa peculiare o significativa che il gioco trasmette a chi lo gioca.
Questa cosa è stata percepita anche oltreoceano, e diversi utenti di BoardGameGeek hanno provato a fornire spiegazioni, definizioni, motivazioni al fenomeno.

Se vogliamo partire da un approccio pratico (e non vedo perchè non farlo, visto che la nuda teoria rischia di rimanere fine a sé stessa e di non avere applicazioni reali a convalidarla), la cosa migliore da fare è cercare di trovare una logica in quello che fanno i giocatori, gli appassionati e gli autori quando devono descrivere un gioco.
Una prima classificazione, la più immediata, è quella data dal tipo d’interazione fra giocatori ancor prima che entrino in ballo le meccaniche vere e proprie, che detta così sembra una cosa complicata ma che, in soldoni, significa solo capire se il gioco è competitivo o cooperativo (o a squadre, o tutti contro uno, e via dicendo). Se il gioco non è competitivo (e la maggior parte dei giochi lo è), il grado di interazione è la prima cosa che vi verrà in mente di menzionare: se vi chiedono di descrivere Shadows Over Camelot, la prima cosa che direte è che “è un gioco cooperativo”.

Il passo successivo è definire il gioco a seconda dell’ intento di gioco: ossia quella cosa che in un regolamento viene definita all’inizio della spiegazione, nell’introduzione o nel paragrafo “scopo del gioco”, quella cosa che più o meno implicitamente ogni giocatore si impegna a fare al momento in cui si siede al tavolo (ossia quella cosa per cui quando ci sediamo per giocare a Risiko ci aspettiamo lanci di dado e battaglie per il dominio del pianeta e non una gara a chi lancia più lontano i propri carrarmatini).

L’intento di gioco – e spesso anche il come esso è presentato – determina in maniera decisa gran parte l’esperienza che il gioco si propone di far vivere ai giocatori.
Basti pensare alla differenza fra il primo paragrafo delle regole di Puerto Rico, che ci informano, subito dopo una brevissima introduzione, che “la partita è divisa in più round. Durante ciascun round ogni giocatore sceglie uno tra i sette diversi personaggi disponibili e offre quindi a tutti gli altri giocatori – procedendo in senso orario – la possibilità di eseguire le azioni associate al personaggio stesso”, e quelle di Descent: Viaggi nell’Oscurità dove, dopo un’introduzione ben più dettagliata e “colorata”, veniamo informati dal manuale che gli eroi nel primo capitolo dovranno “penetrare nelle profondità del dungeon, dove dovranno sfidare il potente Gigante chiamato Narthak. Durante il cammino accumuleranno segnalini Progresso per riattivare vecchie magie, troveranno tesori e faranno altre valorose azioni”.
Tono, stile e informazioni fornite sono completamente diverse, nel primo caso si mette l’accento da subito su “come funziona”, nel secondo sul tema e sul flavour avventuroso del gioco.
Questo perchè i giocatori cercano cose diverse da giochi diversi.
Al giocatore di Fury of Dracula può importare anche poco che sia presente una meccanica di scelta carte e tiri contrapposti per risolvere eventuali combattimenti, perchè quello che cerca è il brivido della caccia e la tenzone fra la tenacia dell’ inseguitore e l’astuzia della preda.
Ma allo stesso modo chi si accinge a giocare a Samurai vuole sapere per filo e per segno come funziona il piazzamento delle tessere e l’assegnazione delle maggioranze, perchè magari non avrà la sensazione di essere un daymio alle prese con le guerre feudali giapponesi, ma di sicuro sarà interessato alla vittoria, a dimostrare di essere il più abile nel pianificare le proprie azioni e il più scaltro nel prevedere le mosse dei suoi avversari.
I fattori che governano l’intento di un gioco possono essere diversi: ci sono giochi che incentivano le risate, altri che incentivano la sfida matematica o il pensiero creativo, e altri ancora che si focalizzano sull’esplorazione di un setting.

Riuscire ad analizzare l’intento dei giochi  è importante a più livelli. Un eventuale dimostratore riuscirà a trasmettere molto meglio il flavour del gioco, se avrà capito cosa l’autore voleva far fare ai suoi giocatori, e soprattutto saprà consigliare il gioco giusto al gruppo giusto, a seconda di quello che il gruppo sta chiedendo. Il recensore avrà uno strumento in più per consigliare (o sconsigliare) il gioco ai lettori. E ovviamente un autore, conoscendo le varie tipologie di gioco, avrà le idee più chiare quando si troverà a scrivere lo “scopo del gioco” della sua ultima fatica ludica.
Non c’è niente di peggio che scrivere una cosa senza sapere cosa dovrà dire, o senza sapere a chi dovrà dirlo (che invece è quello che succede quando non si decide un target per il gioco, ossia la fascia di pubblico a cui dovrà rivolgersi).

Ma, ancor più importante, capire che esistono intenti di gioco differenti, e di conseguenza estimatori di tanti stili di gioco diversi, aiuta molto a comprendere la molteplicità di gusti e di punti di vista che ci possono essere in un mondo vario e sfaccettato come quello dei giochi (siano essi di carte, di dadi, di scacchiera e di ruolo).
Così come dovrebbe apparire naturale valutare un gioco per bambini e uno da gamers incalliti secondo metri differenti, relazionando il proprio giudizio al target di riferimento, allo stesso modo si dovrebbe capire come sia impossibile mettere sullo stesso piano due giochi con intenti diversi: un gioco nato con l’intento di creare divertimento sul piano sociale come Sì, Oscuro Signore è sicuramente ideato, strutturato e sviluppato in maniera diversa da un eurogame per famiglie come Carcassonne, da un corposo gioco all’americana come Le Case della Follia, e così via.

In Italia c’è una forte (e, per quanto riguarda il mio punto di vista, apprezzabile) tendenza a cercare ibridi fra intenti diversi: talvolta possono risultare un po’ azzardati, ma i risultati sono spesso più che validi. Il primo esempio che mi viene in mente è Hermagor di Emanuele Ornella, col suo “mercato astratto”, praticamente un gioco nel gioco, oppure La Guerra dell’Anello del trio Di Meglio/Maggi/Nepitello, che in punta di piedi inserisce in un intento chiaramente americano una serie di eleganti meccaniche ibride.
Ovviamente la tendenza si è acuita in tempi più recenti, grazie anche al fiorire di nuove realtà editoriali ancor più coraggiose: basti pensare alla rivisitazione dei giochi di corse e del dungeon crawling dei ragazzi di Cranio Creations (rispettivamente con Horse Fever e Dungeon Fighter) o all’interessante fusione fra aggressività e design europeo di Saké e Samurai di Santus: giochi interessanti che, lasciando il loro segno in termini di divertimento e originalità, ribadiscono ancora una volta la nostra fama di inguaribili creativi…
Facendoci fare, coi colleghi stranieri, una buona figura… almeno a livello ludico!

Marco “Iz” Valtriani è un pubblicitario e un game designer.
Nel 2011 esce il suo primo gioco, “011”, a marchio Scribabs. Nel 2013 Red Glove pubblica “Super Fantasy: Assalto dei Brutti Musi”.
Nel 2014 inizia a collaborare stabilmente con Red Glove come lead designer, firmando diversi titoli, e scrive alcuni interventi sul libro “Game Design – gioco e giocare fra teoria e progetto” di Maresa Bertolo e Ilaria Mariani, fra cui il capitolo sul boardgame design.
Dal 2008 collabora con molte fiere italiane coordinando attività relative agli autori di giochi; dal 2013 è il curatore di BGDItalia.it, la “filiale” italiana del Board Game Designers Forum.

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